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L’automobile magica

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L’AUTOMOBILE MAGICA

 

 1-Era l’estate del ‘66, quando iniziai a viaggiare con la fantasia, sfruttando l’unico “viaggio” che i miei facevano.

 Era il trasferimento dalla città di Roma a Fiumicino, nella casa di vacanza che poi divenne casa di abitazione.

 Sembrava lungo il tragitto, forse perché da bambini si hanno percezioni difformi, ma in realtà era di circa 30 km e per me pieno di nuovi giochi.

 Lo stesso viaggio ripetuto per anni, ma sempre diverso perché i miei occhi riuscivano a vedere cose diverse.

 Contavo ora le case, ora gli alberi, poi i cespugli lungo la strada, i cartelli stradali.

 Indovinavo di quale città fossero le targhe delle auto che incontravo e organizzavo delle gare tra loro.

 Esaurite le targhe, passavo alle marche e contavo Fiat, Opel, Citroen, Mercedes.

 I pensieri correvano veloci come il vento che fin dai primi metri entrava dal finestrino aperto.

 Viaggiavo verso una meta solitaria, deserta, come una naufraga su un’isola, legando dei paletti con le foglie delle canne, procurandomi cibo con arnesi di fortuna.

 Non so perché mi piacesse questa visione.

 Forse perché cresceva in me la voglia di essere indipendente come accadde davvero.

 O perché sapevo che mi sarebbero piaciuti viaggi senza meta come quelli che poi realizzai a bordo di un camper.

 Mia mamma ricordo che all’epoca fosse particolarmente felice.

 Lei infatti sapeva già che avrebbe trascorso mesi rilassanti.

 Avrebbe coltivato le rose in giardino, bollito bottiglie di pomodori per fare il sugo da conservare in inverno.

 

 2- Accendo il motore, 7,00 di mattina: come tutti i giorni mi appresto al “viaggio” per andare al lavoro.

 La vita mi ha riportato qui nella stessa casa di allora.

 E più o meno il viaggio è simile a quello di cinquanta anni fa.

 Solo che allora mi sembrava un vero viaggio. Ora è solo il percorso da e per l’ufficio.

 Imbocco l’autostrada e, dopo tratti liberi, gli ingorghi sono in agguato.

 Incolonnata, con lo sguardo assorto ammiro i colori del cielo strabilianti.

 Ed ora come allora creo storie, ipotizzando dove siano dirette le persone a seconda di chi sia al volante.

 I solitari come me vanno in ufficio, le coppie di anziani forse si recano per visite mediche in ospedale, le donne con bambini sono mamme che lasciano i figli al pre-scuola o al centro estivo.

 Io immagino non di andare in ufficio, ma in un posto dove lasciare a briglia sciolta le parole e i colori, in modo che le parole diventino poesie e i colori diventino quadri. Un posto magico, dove mi pregano di scrivere e dipingere.

 Mi suonano col clacson, perché ad uno scatto di qualche metro non mi sono mossa.

 È il ritorno alla realtà, piove o sono lacrime?

 

 3-Mentre l’auto procede il suo viaggio, mi addormento.

 Dune di sabbia intorno a me.

 Il sole filtra tra le canne della capanna che abbiamo costruito noi della banda.

 Al buio o quasi, sono impegnata a contare gli asparagi di campo che abbiamo raccolto. Li porterò alla mamma per farci una frittata!

 Poi esco in bici e faccio tanti giri, sempre gli stessi, perché ho dei confini da rispettare.

 Però mi allargo a qualche metro in più e mi ritrovo davanti a palazzi nuovi.

 Qui il terreno non è asfaltato, è di brecciolino, sul quale è facile scivolare e cado.

 La pelle sanguina velocemente.

 Esce una signora dal palazzo richiamata dal mio pianto, ha già in mano alcool e cerotti. Non perde tempo, mi disinfetta e m’incerotta. Io dico grazie e scappo via.

 Racconto tutto alla mamma ma lei si arrabbia, dice che non ci dovevo andare così lontano…

Che se avessi ubbidito non mi sarebbe accaduto!

 Mi mortifico e non parlo per un po’.

Il sogno continua…in strada c’è il capetto della banda di ragazzini.

 Vuole rubarmi la mia bici, ma scherziamo?

 Reagisco!

 Una sberla e un calcio ben assestato, lui non se l’aspetta e lascia la bici, non senza avermi apostrofata con una parola che non conosco.

 Mi sveglio un attimo, ma sprofondo presto in un altro sogno.

 Entra un cane randagio in giardino. Io esclamo:”Che bello mamma, possiamo tenerlo?”

La mamma: “Sì ma solo per la durata dell’estate, poi si ritorna a Roma e dove lo mettiamo?”

E’ un lupo dal colore fulvo, un po’ malandato ma bello. Lo portiamo a spasso col guinzaglio di corda e io mi sento importante con lui al fianco. Tutti i ragazzini si fanno intorno e mi riempiono di domande.

“Dove l’hai preso? Quanti anni ha? Come si chiama?”E io: “Jack! Si chiama Jack!”

Altra scena: Jack torna dal suo giro sanguinante.

 Io urlo, mamma urla, urliamo tutti!

 Lasciamo Jack dopo averlo medicato ad un signore che si occuperà di lui, noi dobbiamo tornare in città.

 Sono triste e piango, mi sveglio con le lacrime o è sudore?

 Comunque siamo arrivati! Ora inizia o finisce la vacanza?

 

 4-Sono entrata in città direzione centro, ferma con l’auto al primo, secondo, terzo semaforo rosso.

 Ripenso a quando ero una bimba felice, pregustando la vacanza.

 Che poi una grande vacanza non era…al mare non mi portavano quasi mai, spesso restavo fuori casa a giocare con altri bambini e ad andare in bici.

 Io ad ogni modo ero contenta di stare con la mia famiglia.

 Quarto semaforo rosso.

 Mi viene un groppo alla gola, considerando che a quegli anni sereni seguirono tanti anni infausti.

 Ma voglio fantasticare ancora e riesco a vedere mamma felice che mi avvisa che la merenda è pronta.

 Nel frattempo, la mia strada di viaggio si trasforma in un lungo nastro color verde prato dove volano farfalle gialle, grandi come girasoli e…

 … io, gioiosa nel sognare la felicità, per una volta, torno ad essere bimba, felice di vivere la magia di quegli anni.

 E arrivo correndo con Jack guarito dalle ferite.

 

 racconto breve di Tania Scavolini

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